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Archivio: Novembre 2015
Russia e Brasile affondano l’export: a ottobre calo del 4,5%
Terzo calo consecutivo per l’export extra-Ue, a conferma del rallentamento globale in atto in gran parte dei mercati emergenti e in Cina. La frenata su base annua è del 4,5%, bilancio che migliora un poco (-3,4%) escludendo dal calcolo l’energia, in termini mensili destagionalizzati la discesa è dell’1,7%.
Le aree di crisi e di instabilità sono ben visibili nei dati Istat, con la Russia a cedere oltre 20 punti, la Turchia quasi nove, L’Africa settentrionale 11, i paesi del Mercosur addirittura 34, appesantiti dalla recessione in atto in Brasile.
La notizia positiva viene dalla Cina, che a dispetto di un brusco calo delle importazioni globali di Pechino nel mese di ottobre, mostra una tenuta maggiore per il made in Italy, in crescita dell’1,8%.
Il calo globale delle vendite extra-Ue, peggior risultato da novembre 2013, è anche favorito dal rallentamento degli Usa, in crescita di poco più di tre punti, a fronte di un balzo del 22% nei primi dieci mesi dell’anno. Frenata mensile in parte legata ad un ottobre 2014 particolarmente tonico, in parte probabilmente ad una minore spinta in arrivo dal dollaro, che già ad ottobre 2014 aveva iniziato il proprio percorso di risalita, con un euro quotato attorno a quota 1,26.
Dal lato degli acquisti le notizie restano invece confortanti, confermando il trend di ripresa della domanda interna. Al netto dell’energia le importazioni crescono infatti del 5,2%, con aumenti diffusi per tutte le tipologie di beni.
L’avanzo commerciale, in frenata limitata nel mese di ottobre (da 3,98 a 3,53 miliardi), dall’inizio dell’anno resta ampiamente positivo e in miglioramento, arrivando a 24,4 miliardi di euro. Determinante, tuttavia, il diverso costo dell’energia, perché per la sola parte manifatturiera il saldo è invece in lieve riduzione, dai 53,8 miliardi del 2014 ai 50,9 dei primi dieci mesi dell’anno in corso.
Economie emergenti esposte alla caduta libera del Brasile
La crisi del Brasile avrebbe effetti sistemici sulle economie emergenti. Gli analisti sono pessimisti sul primo, mentre potrebbe esserci qualche sorpresa positiva dalle seconde.
Il Brasile sarebbe in “modalità caduta libera”, secondo gli analisti di Barclays, che si mostrano particolarmente preoccupati per il deterioramento della dinamica del debito della prima economia sudamericana. Sappiamo già che per la prima volta dal 2003, l’inflazione a metà novembre ha sfondato la soglia del 10%, mentre la disoccupazione è salita ad agosto al 7,9% dal 4,3% di un anno prima. Le aspettative del mercato continuano a peggiorare di settimana in settimana, come dimostra il report Focus della banca centrale.
La sindrome brasiliana si chiamerebbe “stagflazione”, trattandosi di un’economia che non riesce a contenere la crescita dei prezzi, nonostante il governatore Alexandre Tombini abbia portato i tassi Selic al 14,25%, in seguito a un ciclo restrittivo iniziato nell’aprile di 2 anni fa. Il real ha perso un terzo del suo valore quest’anno e proprio la sua caduta alimenta l’inflazione, rendendo più costosi i beni importati.
Il rapporto tra tassi e debito potrebbe essere perverso e portare la politica fiscale ad essere dipendente dall’andamento di quest’ultimo, avvertono da Barclays. Il costo di rifinanziamento dovrebbe attestarsi a oltre il 12% medio quest’anno, mentre il debito dovrebbe salire al 71% del pil, un livello molto alto per un’economia emergente.
Brasile: crisi e prospettive
La crisi del Brasile avrebbe effetti sistemici sulle economie emergenti. Gli analisti sono pessimisti sul primo, mentre potrebbe esserci qualche sorpresa positiva dalle seconde.
Il Brasile sarebbe in “modalità caduta libera”, secondo gli analisti di Barclays, che si mostrano particolarmente preoccupati per il deterioramento della dinamica del debito della prima economia sudamericana. Sappiamo già che per la prima volta dal 2003, l’inflazione a metà novembre ha sfondato la soglia del 10%, mentre la disoccupazione è salita ad agosto al 7,9% dal 4,3% di un anno prima. Le aspettative del mercato continuano a peggiorare di settimana in settimana, come dimostra il report Focus della banca centrale.
La sindrome brasiliana si chiamerebbe “stagflazione”, trattandosi di un’economia che non riesce a contenere la crescita dei prezzi, nonostante il governatore Alexandre Tombini abbia portato i tassi Selic al 14,25%, in seguito a un ciclo restrittivo iniziato nell’aprile di 2 anni fa. Il real ha perso un terzo del suo valore quest’anno e proprio la sua caduta alimenta l’inflazione, rendendo più costosi i beni importati.
Il rapporto tra tassi e debito potrebbe essere perverso e portare la politica fiscale ad essere dipendente dall’andamento di quest’ultimo, avvertono da Barclays. Il costo di rifinanziamento dovrebbe attestarsi a oltre il 12% medio quest’anno, mentre il debito dovrebbe salire al 71% del pil, un livello molto alto per un’economia emergente.
Debito brasiliano rischia l’insostenibilità
Gli analisti dell’istituto hanno simulato le conseguenze di uno scenario di stress, caratterizzato dall’aggravarsi della crisi politica, con anche la previsione dell’impeachment per il presidente Dilma Rousseff, una perdita di fiducia del mercato verso la sostenibilità delle politiche fiscali brasiliane e un calo ulteriore del pil del 2,3% nel 2016. In questo scenario, il bilancio registrerebbe un deficit fino al 2019. I tassi salirebbero di altri 200 punti base, mentre l’inflazione resterebbe alta per via del real debole.
In questo scenario, il rapporto tra debito e pil salirebbe al 100% del pil entro il 2020. Il problema, sempre secondo Barclays, è che i tassi potrebbero crescere ben più delle attese, qualora il mercato perdesse la fiducia sul paese. Il paragone è con il 2002, quando in previsione della vittoria di Lula, salirono di 800 bp in appena 6 mesi. E anche solo immaginando che crescano similmente ai mesi seguenti lo scoppio della crisi finanziaria globale del 2008, ovvero di 400 bp, il debito salirebbe al 114% nel 2021.
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